Beleza, Verdade, Tradição
por Salvatore Vitiello (1)
por Salvatore Vitiello (1)
Il Santo Padre Benedetto XVI ha proposto un itinerario, una strada da seguire nel trattare quei temi che sono “evidenze” nella conoscenza:
[…] per me l’arte e i santi sono la più grande apologia della nostra fede. […] se contempliamo le bellezze create dalla fede, ecco, sono semplicemente, direi, la prova vivente della fede. Se guardo questa bella cattedrale: è un annuncio vivente! Essa stessa ci parla, e partendo dalla bellezza della cattedrale riusciamo ad annunciare visivamente Dio, Cristo e tutti i suoi misteri: qui essi hanno preso forma e ci guardano Tutte le grandi opere d’arte, le cattedrali – le cattedrali gotiche e le splendide chiese barocche – tutte sono un segno luminoso di Dio e quindi veramente una manifestazione, un’epifania di Dio. Nel cristianesimo si tratta proprio di questa epifania: che Dio è diventato una velata Epifania, appare e risplende. Abbiamo appena ascoltato il suono dell’organo in tutto il suo splendore e io penso che la grande musica nata nella Chiesa sia un rendere udibile e percepibile la verità della nostra fede: dal Gregoriano alla musica delle cattedrali fino a Palestrina e alla sua epoca, fino a Bach e quindi a Mozart e Bruckner e così via... Ascoltando tutte queste opere – le Passioni di Bach, la sua Messa in si minore e le grandi composizioni spirituali della polifonia del XVI secolo, della scuola viennese, di tutta la musica, anche quella di compositori minori – improvvisamente sentiamo: è vero! Dove nascono cose del genere, c’è la Verità. Senza un’intuizione che scopra il vero centro creativo del mondo, non può nascere tale bellezza. […] L’arte cristiana è un’arte razionale – pensiamo all’arte del gotico o alla grande musica o anche, appunto, alla nostra arte barocca – ma è espressione artistica di una ragione molto più ampia, nella quale cuore e ragione si incontrano. Questo è il punto. Questo, penso, è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una forma artistica convincente». (2)
Di fronte a tali affermazioni nasce un’evidenza nella nostra ragione: la Bellezza porta in sé una struttura universale che attraversa il tempo; la struttura stessa richiama un infinito che colpisce e rimanda all’eterno. La ragione, allora, s’interroga sul proprio limite intuito, sull’aver colto un’evidenza (l’opera d’arte) che non può essere compresa totalmente dalla ragione stessa in quanto facoltà razionale; questa capacità di intuire il proprio limite apre ad un Oltre che la ragione non si può dare.
La Bellezza rimanda perciò, e questo è il passaggio successivo, all’Essere (l’Oltre intuito) che è Verità; ne è riverbero, frammento.
Si ha bisogno di riverberi di Verità e Bellezza che richiamino, nella realtà quotidiana, il Mistero, presente nella Chiesa e nei Sacramenti, ma presente come primo richiamo in tutto ciò che nasce dal rapporto tra l’Io e l’Infinito: grandi opere d’arte figurativa, poetica, musicale sono testimonianza di questo. L’Io in azione mentre progetta, compone poesie o musica, cioè quando esprime e “materializza”, in un’opera, quello che desidera comunicare o palesare, più facilmente può vivere in prima persona e di conseguenza può far rivivere agli altri questo rapporto con l’Infinito che lo determina, perché intuisce che quello che progetta, crea e produce è altro da sé, infinitamente diverso, non più chiuso nel comunque ristretto ambito della pur grande mente che l’ha ideato e concretizzato.
La Bellezza così delineata è in rapporto con la Verità, che è il suo significato. Nessuna Bellezza, se non significa il senso (Verità) per cui è posta in essere, può superare il contingente per esprimere il significato dell’Essere stesso.
Si desidera allora chiarire come, nella storia, quando un Bene, un’opera di qualsiasi tipo rimasta nel tempo, ammirata e condivisa, nasca in questa grandezza, in qualche modo sia “eterna”. Le opere a cui si guarda in questo modo, di qualsiasi epoca e di qualsiasi artista, hanno questo denominatore comune. Difficile trovare queste opere nel mondo contemporaneo, perché si sta sistematicamente operando per distruggere la possibilità che, nella ragione, possa esserci spazio per un Infinito intuito; la uniche possibilità per la ragione, secondo questa concezione, sarebbero da ritrovare nella scienza e nella tecnologia. La ragione è così ridotta, dal razionalismo; è privata dei suoi fattori costitutivi.
Il pensiero contemporaneo nega l’esistenza di una Bellezza come prima descritta. Si può fruire di essa, ma non può esistere l’incontro tra il significato di essa e l’Io. La fruizione fa parte di un atto dell’utente del bene, il quale utente “prende” dalla realtà ciò di cui in un momento determinato ha bisogno: il piacere, il gusto estetico, ma che non si lascia interrogare dalla realtà di cui “fruisce”, dall’oggetto stesso.
Perché avviene questo? Non si ammette l’esistenza dell’oggetto in sé e non si ammette che ci possa essere questo incontro conoscitivo nella realtà. Il riverbero, il frammento della Bellezza e della Verità non rimanda ad unaTotalità.
Per questa concezione relativista (l’oggetto è sciolto dai suoi nessi significativi, è frammento vagante da consumare quando serve), che è diventata un modo anche quotidiano di guardare il reale e di vivere, le persone, ed alcuni giovani in particolare, considerano questi Beni ed opere, appartenenti al passato. Si assiste al fatto che l’io, che non si concepisce persona che incontra, nel conoscere non è cambiato, in qualche modo, dall’oggetto che incontra, non pone la possibilità che possa cambiare. Non sono più evidenti, per questo modo di concepire i fatti, i nessi di cui si parlava.
Viene meno così anche la trasmissione della cultura, delle ragioni di una civiltà ed in particolare della civiltà occidentale. Ragioni che partono da lontano e attraversano la storia, ma che vanno colte quotidianamente, se si vogliono far traghettare negli anni, nei secoli. Occultare le ragioni, renderle atomi non più percepibili nel loro insieme, significa decretare la morte di una civiltà, di una cultura. Bisogna essere consapevoli di questo.
C’è bisogno allora oggi di riaffermare con chiarezza la possibilità di educare all’esperienza del Mistero, anche attraverso un Bene (Verità e Bellezza) che è presente nella realtà. Educare, perché non è più scontato questo passaggio, bisogna prendere per mano, accompagnare in questa esperienza che parte da un’evidenza di Bellezza (Bene) ed interroga sulla Verità della propria esistenza. Due sono i fattori di questa educazione: a) far fare esperienza di un Bene (Bellezza e Verità) e quindi valorizzare e privilegiare quanto di Bello c’è nella realtà che ci circonda; b) favorirne l’incontro, cioè la possibilità che il soggetto metta in gioco se stesso di fronte al Bene, alla Verità di cui è riverbero.
Favorire l’incontro con le opere, capire le strutture che le hanno rese rasmissibili non solo nella conservazione (ma anche in quella come segno della tensione che la società, operante in una determinata epoca, pone), ma soprattutto nei significati che le diverse epoche, i diversi modi di concepire il mondo, hanno restituito all’opera stessa.
Attraverso l’incontro con le opere favorire, e questa è teologia del Bene e del Vero, la nostalgia, il desiderio di un’esperienza del Bene stesso e della Verità.
Scrive il Santo Padre Benedetto XVI, nell’esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis:
In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini (3).Tale attributo, cui facciamo, riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell'amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l'amore4. Già nella creazione Dio si lascia intravedere nella bellezza e nell'armonia del cosmo (cfr Sap 13,5; Rm 1,19-20) […] Gesù Cristo ci mostra come la verità dell'amore sa trasfigurare anche l'oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l'amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale (5).
E nell’incipit della storica enciclica di Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor si legge:
Lo splendore della Verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26): la verità illumina l’intelligenza e informa la libertà dell’uomo, che in tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore. Per questo il salmista prega: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7). (6)
È necessario ripartire da qui! Il primo passo di ogni “tradizione della bellezza”, di ogni educazione alla bellezza è la trasmissione dei contenuti principali della fede.
La necessità e l'urgenza di un rinnovato dialogo tra bellezza e verità, sono riproposte non soltanto dall'attuale dibattito culturale ed artistico, ma anche dalle evidenze della realtà quotidiana: in essa emerge drammaticamente la divisione, e talvolta il contrasto, tra due dimensioni, quella della ricerca della bellezza, intesa però come forma esteriore, come involucro costruito e preconfezionato da proporre a tutti i costi, e quella della ricerca della verità (e quindi anche della bontà) delle azioni, che si compiono per realizzare un determinato fine.
Infatti, una ricerca della bellezza, che fosse estranea, o scissa, dall'umana ricerca della verità, si trasformerebbe, come purtroppo accade, in una posizione estetizzante, che non di rado si riduce all’epifania del banale e del superficiale, incapace di nascondere l'inconsistenza ed il senso di vuoto, che l’assenza della Verità, comporta.
Questa ricerca apparente non ha in sé niente di universale, ma è unicamente soggettiva, addirittura individualistica, tanto da avere come conseguenza l’incomunicabilità. La proposta e sollecitazione di Benedetto XVI ad allargare gli orizzonti della ragione (7) comprende anche l’intuire la connessione che lega la ricerca della bellezza con la ricerca della verità e della bontà, così che il cuore e la ragione si incontrino, la bellezza e la verità convergano.
Una ragione senza bellezza risulterebbe dimezzata, come anche una bellezza priva della ragione sarebbe vuota ed illusoria, mera esercitazione plastica.
Nel Messaggio per la tredicesima seduta pubblica delle Pontificie Accademia, nel 2008, affermava Benedetto XVI:
La nostra testimonianza, allora, deve nutrirsi di questa bellezza, il nostro annuncio del Vangelo deve essere percepito nella sua bellezza e novità, e per questo è necessario saper comunicare con il linguaggio delle immagini e dei simboli; la nostra missione quotidiana deve diventare eloquente trasparenza della bellezza dell'amore di Dio per raggiungere efficacemente i nostri contemporanei, spesso distratti e assorbiti da un clima culturale non sempre propenso ad accogliere una bellezza in piena armonia con la verità e la bontà, ma pur sempre desiderosi e nostalgici di una bellezza autentica, non superficiale ed effimera. (8)
Allora perché Bellezza e Tradizione?
La Tradizione, cioè quella forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati, si documenta nel tempo attraverso la dinamica dell’incontro che è profondamente umana, e quindi universale, e che definisce lo specifico cristiano: l’avvenimento dell’incontro con la Persona di Cristo, la cui presenza permane nel tempo attraverso la visibilità e tangibilità del corpo ecclesiale (cfr. Deus Caritas est n.1). E’ la pretesa permanente della Chiesa: essere presenza divina nel mondo.
La dinamica dell’incontro, consente oggi e dovunque il tradere Christum, la consegna di Cristo: sia quella che Egli stesso fa di sé all’umanità, continuando incessantemente a donarsi per via pneumatica, attraverso la Sacra Scrittura ed i segni sacramentali, soprattutto la Santissima Eucaristia, sia quella che il Suo Corpo, che è la Chiesa, vivente e giovane, prolunga con l’opera dell’annuncio, della guida delle coscienze e della santificazione.
La dinamica dell’incontro, allora, non è la descrizione di un evento delpassato, che ha riguardato, al più, alcuni uomini, gli apostoli ed i primi discepoli, e che rimane a noi inaccessibile. L’incontro è il modo stesso in cui il Mistero ha scelto di raggiungere l’uomo, ciascun uomo, in ogni tempo.
Lo ha autorevolmente ribadito il Santo Padre, nell’allocuzione alla Plenaria della Congregazione per il Clero, affermando che nel cristianesimo, contenuto e metodo coincidono: «Nel mistero dell’incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano». (9)
Il Mistero, scegliendo la via dell’incarnazione, ha scelto di non saltare l’umano, ma lo ha salvato assumendolo, dunque andando al fondo della realtà, facendone emergere le domanda e proponendosi come la risposta plausibile al cuore ed alla ragione, al senso religioso umano, alle domande dell’io.
Questo è il metodo di Cristo: ridestare l’uomo alla realtà del suo io, alle domande fondamentali che lo costituiscono e, una volta ridestata la domanda di senso, proporsi come risposta umanamente convincente, perché capace di non censurare nulla (né cuore né ragione), ma di abbracciare l’integrità della persona.
Oggi se si vuole continuare a tradere Christum, annunciare il Signore, si deve aiutare gli uomini a vivere il reale; a non cercare vaghe consolazioni nella fuga dalla realtà, che mai è stata predicata dal cristianesimo. Nel rapporto col reale, il dualismo filosofico e pratico, che ha separato la ragione dall’essere, di cui tutti, per ovvie circostanze storiche, possiamo essere vittime, è superato.
La realtà, qualunque realtà, ponendosi, per il solo fatto di esserci, si pone con una domanda alla quale il cuore e la ragione, l’affezione e l’intelligenza sono chiamati a dare una risposta. Vertigine della ragione diviene allora la possibilità di stare sulla soglia del Mistero, ammettere di non comprendere ogni cosa e quindi di dover riconoscere il proprio limite.
La risposta a tale limite, il quale confligge con il cuore dell’uomo che domanda, anzi grida, un bisogno infinito di significato, è Cristo: il Mistero Incarnato, il Mistero che si rende esperienza accessibile e che, proprio attraverso questa accessibilità, dispiega tutta la potenza della domanda del cuore umano.
Il metodo di Cristo è e deve essere, allora, anche il metodo della Tradizione, il metodo della Comunione ecclesiale carica di ragioni, il metodo della comunicazione del Vangelo vivente.
Cristo si comunica oggi esattamente come Egli stesso ha scelto di comunicarsi duemila anni fa: entrando nella realtà, ridestando l’uomo alle sue domande ultime e offrendosi come compagnia, esperienza umanamente convincente, inizio di una comunione nuova che, carica di affezione e ragionevolezza, libera l’uomo.
Solo se verrà ricompresa con forza una tale prospettiva di metodo e se si avrà il coraggio di indicare Cristo e la Chiesa, e non la via del dubbio e del relativismo, come la risposta adeguata al cuore dell’uomo, che è esso stesso ridestato dall’incontro con l’umanità cambiata dei credenti, si potrà affermare di aver compreso il metodo della Tradizione.
Come la Tradizione è incontro presente, così la bellezza è incontro presente!
Il riverbero, il frammento della Bellezza e della Verità che è l’opera d’arte architettonica, pittorica, scultorea, poetica e musicale se non è espressione del rapporto stesso che l’autore ha con il Mistero e non rimanda ad una Totalità (come si è detto), ma rimane nei limiti di quello che il soggetto decide che in quel momento sia opportuno (un piacere, un discorso estetico, uno svago momentaneo), rimane fuori da quell’incontro, proprio del metodo della Tradizione.
Dialogare con il Mistero e giocarsi nel reale sono allora le premesse perché la Bellezza e la Verità possano anche oggi, come duemila anni fa (Tradizione), farsi presenti nelle opere ed essere riconosciute.
Come la Tradizione non vive se non nell’incontro con un avvenimento presente, così la bellezza, per essere riconosciuta come tale, domanda l’incontro con l’avvenimento presente dell’io, spalancato al riconoscimento della bellezza nella misura in cui essa è riverbero di verità, aperta al Mistero.
Si può concludere con le parole di J.W. Goethe, nel Faust, che possono essere un po’ l’immagine di questo percorso: «Torna la ragione nuovamente a parlare e la speranza nuovamente a fiorire».
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1 Docente Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore-Roma, Coordinatore d’ambiti disciplinari nel Master in Architettura, Arti Sacre e Liturgia Università Europea di Roma-Regina Apostolorum.
2 BENEDETTO XVI, Discorso ai sacerdoti, Bressanone 6 agosto 2008.
3 Cfr.SAN BERNARDO, Sermones dominicales ad fidem codicum nunc denuo editi, 1, 7; 11, 10; 22, 7; 29, 76, Grottaferrata 1977.
4 Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 22.
5 BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale, Sacramentum caritatis, 35.
6 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Encicl. Veritatis splendor, proemio.
7 BENEDETTO XVI, Lectio magistralis, Ratisbona 12 settembre 2006.
8 BENEDETTO XVI, La vera bellezza è la strada dell’umanesimo cristiano, Messaggio per la tredicesima seduta pubblica delle Pontificie Accademie, 24 novembre 2008.
9 BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Plenaria del Clero, 16 marzo 2009.